Stavo amabilmente pasteggiando con un gigantesco hamburger inserito in un pan focaccia e guarnito di ketchup, tabasco, guanciale croccante, cipolla caramella e sottilette, quando la mia mente vittima della delizia sopracitata ha cominciato a vagare, soffermandosi poco a poco su un pensiero che non mi toccava dalla mia prima adolescenza, quando decisi di preferire una carriera scolastica lontana dalla cucina per preservare la purezza di questa mia passione.
Tutti i grandi piatti del mondo, quelli grassi, quelli magri, quelli ricercati, quelli burini, hanno un ingrediente in comune, l'ingrediente segreto che li rende speciali, così volatile da essere effimero ma così potente da sentirlo nel profondo: l'amore.
Quando una persona ama la cucina e i suoi ingredienti, gioisce per la preparazione che sta eseguendo, assapora coi sensi ogni istante del suo lavoro, il risultato non può che essere stupendo.
Molti chef di professione, a stretto contatto con il cibo ogni istante e guidati dall'inevitabile businness, perdono questa passione soppiantandola con tecniche pressoché perfette, ma che trasformano qualcosa di una purezza sensoria rara in una gelida lezione di matematica, e questo non è altro che la morte della cucina come arte.
A volte dovremo dimenticare i dogmi che gli altolocati baroni della cucina ci impongono, e come in ogni cosa della vita dare semplicemente ascolto al cuore.
sante parole.
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